La Corte Costituzionale – con sentenza 19 maggio 2022, n. 125 – ha dichiarato che ai fini della tutela dell’art. 18, legge n. 300/1970 (come modificato dalla legge n. 92/2012), il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia “manifesta”.
Al riguardo, la Corte ha precisato che l’incostituzionalità ha colpito la sola parola “manifesta”, che precede l’espressione “insussistenza del fatto” posta a base del licenziamento per ragioni economiche, produttive e organizzative.
Al fatto si deve “ricondurre ciò che attiene all’effettività e alla genuinità della scelta imprenditoriale”. Su questi aspetti il giudice è chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimità che non può “sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità”.
Nelle controversie in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo si è in presenza di un quadro probatorio articolato che porta ad un “aggravio irragionevole e sproporzionato” sull’andamento del processo: all’indeterminatezza del requisito si affianca una irragionevole complicazione sul fronte processuale.
La Corte ha dunque individuato uno squilibrio tra i fini che il legislatore si era prefisso, consistenti in una più equa distribuzione delle tutele, attraverso decisioni più rapide e più facilmente prevedibili, e i mezzi adottati per raggiungerli.
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