La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza 6 giugno 2018, n. 14527, ha stabilito che l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, sebbene sia garantito dagli articoli 21 e 39 Costituzione, incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (articolo 2 Costituzione), di tutela della persona umana, sicché, ove tali limiti siano superati, con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi e oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione. Deve essere pertanto confermato il licenziamento intimato ai lavoratori che, per manifestare i loro dissenso verso il datore di lavoro, avevano rappresentato l’impiccagione di un manichino raffigurante l’amministratore delegato della società, atteso che tale condotta travalica appunto i limiti sopra riportati.
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