Nullità del licenziamento della lavoratrice con inidoneità fisica sopravvenuta
La Cassazione – con sentenza del 30 aprile 2025, n. 11343 – ha affrontato la questione di una lavoratrice licenziata dopo essere divenuta parzialmente inidonea allo svolgimento delle proprie mansioni per una menomazione fisica permanente: il datore di lavoro aveva proceduto al recesso senza adottare misure organizzative idonee a garantire la conservazione del posto, né aveva valutato soluzioni alternative.
Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato che il licenziamento motivato dall’inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore è da considerarsi nullo se il datore di lavoro non dimostra di aver tentato ogni ragionevole modifica dell’organizzazione aziendale per consentirne la ricollocazione: in tal senso, l’omissione del repechage, inteso anche come mancata adozione di soluzioni organizzative che consentano al lavoratore con disabilità di continuare a lavorare, integra una discriminazione diretta fondata sulla disabilità.
Pertanto, un simile licenziamento non solo è ingiustificato, ma è anche nullo per violazione del divieto di discriminazione e impone l’applicazione della tutela reintegratoria piena, ex art. 18, legge n. 300/1970.